Wednesday, May 25, 2011

Per un manifesto della scuola familiare: un percorso alternativo e un'alternativa praticabile.

La scuola italiana sta vivendo una grave crisi, il cui sintomo più evidente è l'incapacità, anche delle scuole qualitativamente migliori, di formare in maniera consistente e riproducibile dei giovani preparati, destinati a diventare i quadri / tecnici / lavoratori affidabili e capaci dei quali un paese industrializzato necessita, né tanto meno i giovani che saranno, o dovrebbero essere, la classe dirigente del futuro.

Non è infrequente incontrare studenti volenterosi che hanno ottenuto voti lusinghieri lungo tutta la carriera scolastica, che risultano purtroppo altrettanto incompetenti e ignoranti quanto si illudono di essere preparati. Parallelamente, le percentuali degli studenti che soffrono di disturbi dell'apprendimento, o che vengono etichettati come tali, aumentano di anno in anno, o si può dire, di giorno in giorno. In un mondo che personalizza ogni cosa, dai protocolli medici alla pubblicità, e con ottimi risultati, la scuola è ferma alla lezione uguale per tutti e imperniata su stanche litanie, dai sette re di Roma alle tabelline - talvolta, però, su lavagna interattiva multimediale. Nel corso degli anni sono aumentati vertiginosamente i tempi scolastici, ma non necessariamente la qualità dell'apprendimento, né, in effetti, la quantità di nozioni. È poi velleitario lamentare che gli studenti siano passivi e acritici, quando si propongono tanti problemi chiusi e pochi problemi aperti, tanti problemi di cui la controparte conosce già la risposta e pochi problemi per cui tutti provano un genuino interesse; tanto addestramento e poca comprensione. D'altronde, quanti minuti al giorno i ragazzi lavorano in maniera autonoma? Si è stimato che gli alunni, in classe, prendano la parola solamente per il 10% del tempo scolastico, che va diviso per i 20-25 studenti della classe. Alla fine la scuola si riduce ad un parcheggio custodito; progressivamente essa è stata svuotata della propria funzione, tanto nei fatti quanto nei desideri e nelle intenzioni. Oggi, pochi chiedono alla scuola di insegnare. Ad essa viene richiesto di intrattenere, di riempire le giornate dei ragazzi, di mantenerli in buona forma fisica, persino di farli felici o di garantire loro un posto di lavoro sicuro e non troppo faticoso. L'insegnamento è un optional.

Può la scuola familiare essere una risposta? E che cos'è la scuola familiare oggi?

Per i miei figli ho scelto di avvalermi, e intendo continuare a farlo, di una opzione, forse poco conosciuta - ma da sempre prevista dalla legge. Visto il mio percorso formativo e culturale e la mia professionalità (sono un fisico teorico) ritengo di poter offrire ai miei figli un'istruzione migliore di quella che ho ricevuto io, a suo tempo, nella scuola pubblica.

Purtroppo, nel contesto sopra delineato, percorrere questa strada è tanto impegnativo quanto trattato con sufficienza e disdegno.

Non si prende neppure in considerazione che la scelta di un programma alternativo di scuola familiare possa essere dettata dall'ampia disponibilità di argomenti più interessanti e più utili, e alla portata di qualsiasi ragazzino a cui vengano presentati, che non la memorizzazione di nozioni irrilevanti e l'esecuzione ripetuta di calcoli macchinosi, che velocizza e rende fluide le risposte desiderate senza alcuna fastidiosa interferenza di ragionamento, pensiero, o senso critico.

Noi genitori che facciamo insegnamento serio, senza dubbio commettendo errori (solo chi non agisce non sbaglia mai) ma non certo per superficialità, mettendoci fatica, tempo, risorse e spese, tentando di evitare ai propri figli il tritacarne e la tragica farsa della scuola italiana (la scuola dove - mi ha scritto di recente un insegnante - ci sono studenti delle scuole medie che non sono sicuri se 1/60 sia maggiore o minore di 1), e i nostri figli che non trascorrono certo i giorni a trastullarsi e a oziare, siamo stanchi.

In assenza di referenti istituzionali, per chi sceglie di allontanarsi dal percorso consueto, è tremendamente difficile impostare una comunicazione con insegnanti e dirigenti scolastici e motivare le proprie scelte. Scelte senza dubbio discutibili e magari non generalizzabili, ma a cui dovrebbe essere riconosciuta una propria legittimità. A maggior ragione se consideriamo che la curiosità e la voglia di imparare e il piacere di fare del lavoro anche/soprattutto se costa sacrificio e la capacità di distinguere il vero dal falso e il giusto dall'ingiusto e la tenacia nel perseguire i propri sogni, sono capacità da non stroncare: è quasi impossibile che ricrescano.

Dobbiamo invece confrontarci con la domanda ricorrente, se non fosse possibile insegnare tanto i contenuti originali da noi proposti, quanto quelli abitualmente inclusi nel programma. Troviamo molto faticoso spiegare che, al di là del carico di lavoro che già così non è lieve, è in ogni caso necessario avere compreso a fondo e consolidato l'approccio primario, prima di potersi giovare dell'arricchimento di un punto di vista diverso e contrastante; e, non solo, che alcuni dei “luoghi comuni” scolastici (specie in matematica) sono purtroppo errati tout court e non c'è spazio per la dialettica  - se mi è concessa una battuta, non esiste una via maestra alla geometria.

Gli esempi sono innumerevoli e tralascio di esporli in questa sede.

Purtroppo talune recenti indicazioni ministeriali si pongono nella direzione opposta alla flessibilità tanto auspicabile, senza fornire ai responsabili alcuna indicazione sulle modalità d'esame relative a programmi di studio non standard. L'istituzione è dunque spinta a valutare i nostri figli sul programma svolto in classe dagli insegnanti della classe corrispondente, vista la difficoltà di farsi carico dei problemi burocratici che deriverebbero dal compilare un verbale di esame “anomalo” nel vuoto normativo più totale e nell'incertezza o assenza di referenti.

Riteniamo improrogabile fornire indicazioni di massima per i percorsi didattici nonstandard e l'istituzione di una commissione ministeriale specifica per la scuola familiare, che stronchi gli abusi e valorizzi le eccellenze; questo potrebbe concretamente attuarsi a livello di uffici scolastici regionali e provinciali con l'incarico ad un funzionario referente e coordinatore per tutte le questioni inerenti la scuola familiare. Il funzionario si individuerebbe tra il personale esistente, che quindi non aumenta di numero (la proposta è dunque a costo zero). Inoltre, è agevole e immediato, oltre che a costo zero, porre rimedio a vere e proprie beffe, ad esempio l'impossibilità di accedere alle risorse per insegnanti (ovvero quelle risorse a cui i docenti della scuola statale possono accedere gratuitamente e che di norma rimangono sottoutilizzate), quali il sito INDIRE che richiede un codice meccanografico dell'istituto di riferimento. Sarebbe sufficiente predisporre un codice meccanografico riservato alla scuola familiare, da utilizzare inoltre per qualsiasi interazione con il MIUR.

D'altra parte è imperativo che l'istruzione familiare esca dal sommerso o peggio dal torbido e fornisca le medesime garanzie di qualità di qualsiasi altra forma di adempimento dell'obbligo scolastico.

Viceversa una frazione significativa degli “homeschoolers” italiani non sono di cultura superiore alla media e soprattutto si vantano di non esserlo; vivono in un sottobosco “alternativo” di varia e variegata ispirazione, ma che al di là dell'etichetta (parlerei di etichette più che di convinzioni mature e ben meditate) rigetta la razionalità e la cultura; talvolta si lasciano alle spalle esperienze di scolarizzazione interrotte in seguito a dissidi con gli insegnanti o al mancato desiderio del bambino di continuare a frequentare la scuola. Si tratta di famiglie solitamente poco visibili e che a tal fine fanno talvolta ricorso anche a “scuole” all'estero, che, pagando, certificano una presunta “frequenza” (a distanza); superfluo specificare che tali opzioni sottraggono denaro e contributi alle scuole private italiane che si sforzano di offrire un servizio complementare all'istruzione statale, in accordo con la legislazione in vigore. Alcuni “homeschoolers” eludono la circolare Fioroni che introdusse l'obbligo dell'esame annuale di idoneità e non prendono accordi per sostenerlo: lo considerano infatti un trauma per il bambino oltre che una prevaricazione della loro pretesa sacralità genitoriale. Tali famiglie confidano nell'assenza di verifiche e ritengono che, nel caso di improbabili controlli, la loro posizione sia sostenibile grazie ai documenti della “scuola” online (per esempio, dichiarando di aver assolto all'obbligo di istruzione in uno stato estero, quali gli USA o altri Paesi anglosassoni, in cui ciò è ammesso). Più spesso, almeno uno dei genitori si rende conto che si tratta di un reato e, obtorto collo, si accompagna il bambino a sostenere l'esame annuale, confidando nel fatto che a livello di scuola primaria è inconsueto e burocraticamente macchinoso negare l'ammissione alla classe successiva e invitando il giovanissimo candidato a porre in atto strategie quali rispondere in maniera casuale o ambigua (nella scuola dell'obbligo e soprattutto nella primaria ci si aspetta che l'esaminatore faccia ogni sforzo per interpretare in maniera favorevole l'elaborato).

Nel frattempo dirigenti scolastici compiacenti contrattano con altri “homeschoolers” poco onesti, scambiando un esame facile con iscrizione formale dei bambini, mancata frequenza, e loro ritiro a marzo, che in scuole piccole significano una cattedra in più e una gestione scolastica maggiormente agevole per tutti. Le presenze non vengono siglate sul registro ma annotate su un foglietto di carta, da trascrivere successivamente e con calma al di fuori dell'orario di lezione, motivando gli appunti a beneficio dell'eventuale ispettore con l'esigenza di compilare il registro delle presenze ordinatamente e con grafia impeccabile; se poi come di consueto l'ispettore non appare, nel corso della trascrizione le assenze dei bambini virtuali verranno riportate a livelli fisiologici. Ci si domanda che ne pensa il ministero di questa “educazione” alla legalità, tanto per i bambini di scuola familiare quanto per i loro compagni di “classe” che frequentano regolarmente e che vedono l'alunno fantasma solamente in occasione delle feste di compleanno.

È un peccato che tutto quello che la scuola familiare offre alla scuola pubblica sia una scorciatoia per eludere obblighi burocratici e tagli di bilancio, e che tutto quello che la scuola pubblica offre alla scuola familiare sia il certificato per evitare i problemi legali e giudiziari a cui va incontro il responsabile del mancato adempimento dell'obbligo scolastico.

Anche se non fosse praticabile riproporre la nostra esperienza in una classe con 25 studenti, perché rinunciare a quello (poco o tanto) che ogni insegnante troverà praticabile e utile? La ricchezza nasce dal confronto e nasce dall'onestà intellettuale sulle proprie scelte, comprese quelle arbitrarie che come scuola familiare ci troviamo a compiere, anche a causa dell'isolamento in cui ci troviamo e nonostante si cerchi faticosamente di tenersi aggiornati sulle tematiche pedagogiche e didattiche.

Altrimenti, ogni sforzo rischia di ridursi a boutades velleitarie, come il discorso del presidente Obama che giustissimamente rivendica il primato dell'istruzione sui videogiochi, salvo non fare assolutamente nulla in tal senso.

La scuola familiare è ad oggi una risorsa potenziale e pesantemente sottoutilizzata, un laboratorio unico che permette un vero apprendimento centrato sull'allievo, cosa impensabile in un contesto di scuola pubblica o privata; viceversa lavori di gruppo, dibattiti collettivi, esperienze di laboratorio, sono difficili o impossibili da compiere al di fuori di una struttura scolastica, alla quale i nostri figli non possono accedere, se non con tanti problemi burocratici per il dirigente scolastico. Una maggiore flessibilità potrebbe essere alla base di un fruttuoso scambio di esperienze diverse. A maggior ragione se, come la nostra, sono a costo zero.

Saturday, May 21, 2011

Benvenuti

Due storielle per rompere il ghiaccio.

La prima la ho sentita proprio ieri e la scelgo come primo scritto pubblicato: "La speranza è un affetto di attesa"....

Un giovanotto posteggia con cautela la sua berlina nuova fiammante, che ha ritirato poco prima dal concessionario. Il figlio del parcheggiatore abusivo, che stava lavando i vetri al semaforo vicino, poggia lo spazzolone nel secchio e gli corre incontro. "Vedo che ti sei comprato la macchina, e te ne sei presa una nuova di zecca!" "Ehi, ciao. A dire il vero" replica il giovane chiudendo con cautela la portiera "non l'ho comprata. È un regalo di mio fratello. Non ha voluto sentire ragioni, non ha accettato che gliela pagassi neanche in parte e neanche un po' per volta. E poi gli avevo detto che un'auto usata sarebbe andata benissimo, o almeno di prendere un'utilitaria. Ma non c'è stato verso, mi ha detto di stare zitto e di non pensare a niente e che queste sono le chiavi...."
"Oh! Che bello! Che meraviglia!" dice il bambino. "Sapessi anche a me quanto piacerebbe, fra qualche anno, quando sarò un uomo...."
Il giovane è imbarazzatissimo. A chi non piacerebbe ricevere in regalo un'auto che non possiamo permetterci. E soprattutto, chi non vorrebbe avere un fratello così? Tanto più se la vita non è stata tanto generosa con noi e fin da giovanissimi siamo stati costretti a fare i conti con situazioni difficili. Vorrebbe scomparire e rendersi invisibile, ma poi ha un'idea. "Senti, non ho tanta fretta: se hai voglia posso portarti a fare un giro." Con un gran sorriso il bambino si accomoda.
Il giovanotto è concentratissimo alla guida - la sua patente profuma ancora di inchiostro - e le parole del ragazzino, silenziosissimo fino a quel momento, lo colgono di soprassalto nel traffico. "Ma che bello, che cosa favolosa, come vorrei anch'io, quando sarò grande, regalare un'auto nuova a mio fratello."



Prima di commuoverci troppo, ascoltiamo ora la barzelletta dei due pensionati al centro commerciale direttamente dalla voce di questo fittizio personaggio, un pensionato statunitense da commedia, che, tuttavia, caratterizza fin troppo bene una determinata tipologia di esseri umani.

<<C'è gente che dice che quando si va in pensione non si sa come passare il tempo.... è una falsità totale, da quando io e mia moglie siamo andati in pensione le nostre giornate non sono mai state così piene. Vi racconto per esempio che cosa ho fatto ieri: siamo andati al centro commerciale. Abbiamo guardato un po' in giro nei negozi e comprato quasi niente ma abbiamo visto le novità, i prezzi, spettegolato con un po' di gente che conosciamo, e ci siamo goduti l'aria condizionata senza spendere a casa nostra. Poi siamo usciti e stavamo per andarcene; ma nel parcheggio ci siamo imbattuti nel vigile, che stava facendo la multa perché secondo lui l'auto era posteggiata male. Così ho detto all'agente: "Hey ragazzo, che ne dici di lasciar perdere, lo sai che noi cittadini 'senior' facevamo il militare quando tu avevi ancora il pannolone?" Quello non mi ha neanche risposto e ha continuato a scrivere. Allora ho detto a mia moglie "Hai visto che xxxx?" Lei mi replica "Proprio xxxx." Il vigile molto calmo non ha fatto parola, ha finito di scrivere il verbale, e poi ha iniziato a compilare una seconda multa, perché le gomme erano lisce. Mia moglie ha commentato che è xxxxx, e io ho aggiunto che sicuramente xxxxxx. Certo e xxxxx, mia moglie ha ribattuto. A quel punto l'agente, che aveva appena riempito e firmato il modulo, è passato a scrivere un terzo verbale perché i tergicristalli erano a suo dire fuori norma. Io e mia moglie abbiamo iniziato a tirare fuori dagli abissi della memoria delle parolacce che non avevamo mai più usato dal tempo dalle scuole medie - rievocare i ricordi, lo sentiamo sempre dire in TV, aiuta a prevenire l'alzheimer. Più noi lo coprivamo di insulti e più lui continuava a scrivere multe sempre nuove. Ne abbiamo enumerate quattordici, ma in effetti non siamo più ragazzini e potrebbe esserci sfuggito qualcosa nel corso del conteggio. Siamo mica delle secchie col bernoccolo della matematica....

A un certo punto si stava facendo tardi, noi alla nostra età non abbiamo voglia di star fuori la sera. Così a malincuore ci siamo allontanati da questa gustosa scenetta e ce ne siamo andati a prendere l'autobus per tornare a casa. >>




Dedicato a chi non si lascia mai sfuggire l'opportunità di fare felici i propri cari: grazie di esistere. Dedicato anche a chi entra in un giardino altrui col lanciafiamme, distrugge tutto, saluta e se ne va - qua non siete benvenuti, accomodatevi altrove.